Detersivi alla spina: la mia prima volta…!
Ho scoperto che nella mia città c’è un rivenditore di detersivi alla spina, in modo da evitare di dover ricomprare ogni volta anche l’imballaggio (tipicamente di plastica). Si tratta di un punto vendita della catena EcoBolle. Prima di andare ho cercato un po’ di bottiglie ormai vuote di detersivi vari, e sono andato al punto vendita. Sono stato piacevolmente colpito dalla varietà di prodotti presenti (nella foto ne potete vedere nemmeno la metà). Devo essere sincero: mi aspettavo un ambiente un po’ fricchettone. Invece ce c’è per tutti i gusti: dai prodotti bio e degradabili, ai più classici prodotti tradizionali. E ancora: temevo di trovare ammorbidenti “estremisti”, privi di qualsiasi profumazione o peggio ancora un poco puzzolenti, e invece c’erano almeno quattro o cinque profumazioni differenti.
Alla fine ho comprato lo sgrassatore biologico, dell’ammorbidente, detersivo in polvere per lavatrice e persino del detersivo per lavastoviglie (ormai assuefatto alle pastiglie monodose, non pensavo neanche più ci fossero alternative…). La prossima volta hoo deciso che provo anche lo shampoo (altro mio cruccio: temevo che l’unica alternativa alle confezioni usa e getta fosse quella di ridurmi a lavarmi i capelli con le saponette). Fra l’altro devo dire prezzi assolutamente competitivi, col vantaggio di uscire dal negozio senza nemmeno una confezione di plastica aggiuntiva. Stavolta infatti m’ero persino portato la borsa da casa…!
Campagna amica a km zero: sarà vero…?
Dopo anni che rimando la cosa, alla fine mi sono deciso oggi a fare la spesa presso il mercato Campagna che la Coldiretti organizza ogni sabato dalle mie parti. Perchè non ci sono mai andato prima? Perché a dire il vero c’è un ottimo mercato bi-settimanale (mercoledì e sabato) anche in centro città, dove alcuni produttori locali hanno il proprio banchetto e mi sono sempre trovato bene. Unica pecca sono i soliti sacchetti di plastica. Dato che non mi organizzo mai prima portandomi un mio sacco, alla fine ogni banchetto mi dà il suo sacchetto di plastica (rigorosamente non compostabile) e alla fine torno a casa con 3 o 4 sacchetti.
Intendiamoci: colpa mia, che dovrei invece andare con i miei sacchetti portandoli da casa. Ma poi mi è venuta la curiosità di sperimentare il mercato di Campagna amica: se sono tanto attenti alla tutela dell’ambiente sicuramente avranno adottato soluzione interessanti per ridurre scarti e imballaggi. Mi immaginavo ad esempio la distribuzione dei prodotti in cassette di legno o sacchetti di carta, o almeno compostabili. Invece… Diciamo subito che ho fatto una buona spesa, e non voglio assolutamente lamentarmi dei prodotti che ho comprato.
Però per prima cosa ho scoperto che di fatto si tratta di un luogo dove i vari produttori espongono la propria merce in maniera assolutamente identica al classico mercato della frutta e verdura. In aggiunta, ho scoperto che la regola del “km zero” è interpretata in maniera decisamente flessibile, dato che fra l’altro c’erano anche le arance di Matera e i limoni dalla Campania. In molti casi non veniva venduta la merce direttamente dal produttore, ma da intermediari locali. Ma la cosa più importante è che non ho trovato alcuna differenza con il mercato tradizionale rispetto ai sacchetti ed imballaggi proposti: alla fine sono tornato indietro con 60 grammi di plastica non riciclabile. Peccato.
Il latte, primo insormontabile problema!
Niente da fare: il latte ormai lo trovate solo nella plastica o nel tetrapak. Al momento non lo trovo più neanche nelle bottiglie di vetro. Non che il vetro sarebbe la soluzione ideale: non esistendo (più…?) il vuoto a rendere, anche il vetro presuppone un processo di recupero e ri-fusione comunque dispendioso in termini energetici e di emissioni nell’ambiente (pensate ai trasporti, al lavaggio, lavorazione, ri-etichettatura, lo smaltimento dei tappi, ecc ecc). Per vostra informazione in Italia il percorso di riciclo del vetro è gestito dal Co.Re.Ve. (Consorzio Recupero Vetro), secondo il quale nel 2017 “il tasso di riciclo, ovvero il rapporto tra quanto riciclato e l’immesso al consumo, è cresciuto dal 70,8% del 2016 al 72,8%”.
Anche se il Presidente del CoReVe ha dichiarato che “Un punto dolente è la qualità della raccolta. Infatti, l’aumento delle quantità è stata accompagnato da una maggior presenza di materiale improprio conferito insieme al vetro. Ciò è stato deleterio in quanto non solo ha rallentato gli impianti di recupero e riciclo del materiale ma ha anche aumentato gli scarti, parte dei quali sono perdite improprie di vetro. Infatti, negli impianti di selezione sono espulsi i frammenti di ceramica, cristallo, pyrex e altri oggetti, molti dei quali imballaggi, ma anche, inevitabilmente, i frammenti di vetro loro contigui. Tutto questo materiale, parte del quale potrebbe essere benissimo riciclato, va in discarica, opzione spiacevole e tendenzialmente sempre meno disponibile. Una maggior attenzione da parte del cittadino potrebbe evitare tutto ciò”.
Ora io “a naso” avrei un poco da opinare sulla dichiarazione del Presidente del CoReVe, perché invece di attribuire interamente la colpa delle inefficienze al cittadino forse farebbe meglio anche a citare le inefficienze degli altri attori coinvolti e di varie inefficienze che continuano a creare problemi (un esempio per tutti: ogni volta che vado in viaggio in qualche altra regione, ma a volte anche nella provincia accanto, devo passare un quarto d’ora a decifrare i bidoni della raccolta differenziata, che a volte è multimateriale, altre volte chiede di separare il vetro dal reso, a volte è verde, altre azzurro, o marrone… Vuoi che anche io, pur con tutta la buona volontà, non abbia a volte sbagliato a buttare qualcosa…?).
Ma in ogni caso il problema non si pone perché sul mercato (almeno dalle mie parti, a Pistoia e dintorni) non si trova proprio nessun produttore che distribuisca il latte in bottiglia di vetro. Se qualcuno invece sa dove trovarlo mi faccia sapere, gliene sarò molto grato.
Nel frattempo però pare utile parlare della distribuzione del latte spillato. Qualche anno fa pareva essere una gran moda, a anche a Pistoia ne comparve uno, che durò qualche mese, per poi chiudere miseramente. Era nata in quel periodo (credo fosse il 2012 o 2013) anche un’interessante iniziativa nazionale, di cui rimane traccia nel sito Milk Maps. A quanto pare nella mia provincia: niente. Ma il punto è piuttosto un altro: la moda del latte alla spina andava di pari passo con il “latte crudo”, ossia non pastorizzato, e quindi da bollire prima di consumare, e ovviamente con vari problemi di conservazione. Non ho mai trovato dalle mie parti il latte alla spina già pastorizzato. Mi sembra che l’approccio commerciale puntasse ad un’utenza un po’ particolare e altamente motivata da intenti nutrizionisti, prima ancora che ambientali. Un target nel quale onestamente non mi riconosco, e dopo un paio di volte che mi sono servito a suo tempo ho cominciato a pensare che dover correre a casa a bollire il mio litro di latte fosse in realtà una gran scocciatura. Non sarebbe più semplice un distributore di latte già pastorizzato, grazie al quale potersi riempire il proprio contenitore a piacimento…?
Perché questo blog…?
Ho appena finito di leggere il libro della Bea Johnson “Zero Rifiuti in Casa” (traduzione secondo me un po’ maldestra di “Zero Waste Home”), e mi vengono in mente tantissimi pensieri contrastanti. Anzitutto vi invito ad approfondire la cosa andando sul suo blog ufficiale: Zerowastehome.com
Dopodiché, se dovessi essere estremamente sintetico e un pochino perfido, direi che è un libro che colleziona una serie di indicazioni operative e “motivazionali” su come raggiungere l’obiettivo neanche troppo astratto di vivere in una casa e con una famiglia che non producano alcun rifiuto indifferenziato. Solo che l’autrice è ben lontana dall’essere una studiosa del tema o una persona con solide competenze scientifiche pregresse. Al contrario sembra piuttosto una ex-pazza scatenata, affetta da shopping compulsivo e che viveva in una California sin troppo simile agli stereotipi che tutti abbiamo in mente sul tenore di vita dei ricchi americani. Ad un certo punto, in piena crisi esistenziale, la Johnson intraprende la svolta ecologista e, con un approccio piuttosto invasato e direi tipico per chi passa da un estremo all’altro, si scopre una talentuosa della riduzione sistematica dei rifiuti domestici, tanto da arrivare ad un certo punto a pensare di sostituire la carta igienica con il muschio selvatico…
Ora però il problema è che nonostante il libro della Johnson sia secondo me una fonte comunque scarsamente attendibile, in realtà l’autrice supera di gran lunga qualsiasi mio personale esperimento di riduzione dell’impatto ambientale che ho sul pianeta. E siccome non mi reputo del tutto a digiuno in materia di ecologia, sviluppo sostenibile, risparmio energetico e trattamento dei rifiuti, sono altamente irritato dal fatto che una blogger improvvisata riesca a conseguire dei risultati personali al momento per me impensabili. Ad aggravare il tutto contribuisce inoltre il fatto che la Johnson vive e sperimenta il suo modello di vita in una California campione degli sprechi e dell’individualismo sfrenato, al contrario di un paese (l’Italia) e un territorio (la Toscana) che vantano comunque numerosi modelli di intervento e (probabilmente) una maggiore percezione di una responsabilità collettiva e un maggior intervento pubblico sui temi in questione.
Come può mai essere che io, nella mia vita quotidiana, non riesca minimamente ad avvicinarmi all’obiettivo di una riduzione sistematica dei rifiuti domestici, perlomeno senza ridurmi a vivere come un cavernicolo eremita…? Ho una grande stima per tutti quelli che compiono scelte di vita importanti e radicali, ma sia chiaro che non nutro nessuna invidia per la maggior parte dei casi estremi, né ho alcun desiderio di vivere lontano dalla mia cittadina o dalla mia famiglia. Vorrei semplicemente poter mantenere una normale vita quotidiana e conservare tutte le mie amate relazioni sociali senza però essere costretto ogni giorno a riempire bidoni di spazzatura con imballaggi e oggetti monouso ogni volta che torno dal supermercato.
Fra l’altro, sia chiaro, ho una normale e intensa vita professionale, una moglie e due figlie, una casa e molti amici, e non ho onestamente molto tempo da dedicare per coltivarmi il mio orto personale e vivere di pura e semplice autarchia. Così come non ho onestamente tempo ma soprattutto voglia di allevare dei lombrichi in una compostiera da terrazzo…
E allora che fare? Beh in realtà provo già a fare tante cose, ma mi rendo conto che non sono abbastanza. Abbastanza rispetto a cosa? Ecco al momento non so definirlo con chiarezza. So solo che nonostante intorno a me si parli tanto di emergenze ambientali e climatiche, ho la netta percezione che i rifiuti e gli sprechi energetici e di risorse naturali non facciano che aumentare. Io per primo mi rendo conto che sono ben lontano dall’obiettivo “zero rifiuti”. Quindi per l’ultimo dell’anno ho fatto il mio buon proposito e mi sono dato l’obiettivo concreto di ridurre considerevolmente il mio impatto sull’ambiente nel corso del 2019. Considerevolmente quanto? Ancora non lo so, ma ho intenzione di verificarlo e possibilmente quantificarlo attraverso questo blog.
Non credo onestamente che l’obiettivo “zero rifiuti” possa essere considerato altro che una meta astratta da perseguire idealmente senza mai raggiungerla. L’idea che la vita di una famiglia possa non produrre rifiuti rappresenta un po’ una semplificazione riduttiva della nostra vita sociale e delle dinamiche della catena di produzione dei beni di consumo. Dire che dalla mia casa non escono sacchetti di rifiuti, né indifferenziati né riciclabili (la Johnson sostanzialmente sostiene che da casa sua, in un anno, esce un solo sacchetto di immondizia) è sicuramente affascinante ma nasconde tutti gli altri aspetti non legati ai sacchetti dei rifiuti di casa mia. Intanto consumo acqua, elettricità, gas, calore… Certo ci possiamo impegnare a ridurre gli sprechi, ma di sicuro non sto generando “zero rifiuti”, non solo per via delle emissioni che escono direttamente da casa mia, ma anche per quelle che sono state prodotte per la produzione di energia elettrica, l’estrazione del gas, ecc. Inoltre anche a monte di ciò che acquistiamo vi è produzione di rifiuti: magari mi sono impegnato a riempire una bottiglia di detersivo sfuso portandomela da casa, e quindi non produco direttamente alcun rifiuto in termini di imballaggio (anche se poi i residui del detersivo li scarico comunque dalle tubature…), ma la catena di produzione e distribuzione avrà sicuramente generato scarti e rifiuti prima di arrivare al negozio dove l’ho comprato.
Oh intendiamoci non voglio qui sminuire l’impegno e gli obiettivi di cui sopra, voglio solo dire che mi sento più a mio agio con l’idea di un impatto ridotto, più che di perseguire l’idea di “zero rifiuti” o “impatto zero”. Da qui il nome di questo diario, “Impatto ridotto”, forse un po’ minimalista, ma per me più concreto e perseguibile. Ora si tratta di solo di metterlo in pratica. “Solo” per modo di dire…