Ho appena finito di leggere il libro della Bea Johnson “Zero Rifiuti in Casa” (traduzione secondo me un po’ maldestra di “Zero Waste Home”), e mi vengono in mente tantissimi pensieri contrastanti. Anzitutto vi invito ad approfondire la cosa andando sul suo blog ufficiale: Zerowastehome.com
Dopodiché, se dovessi essere estremamente sintetico e un pochino perfido, direi che è un libro che colleziona una serie di indicazioni operative e “motivazionali” su come raggiungere l’obiettivo neanche troppo astratto di vivere in una casa e con una famiglia che non producano alcun rifiuto indifferenziato. Solo che l’autrice è ben lontana dall’essere una studiosa del tema o una persona con solide competenze scientifiche pregresse. Al contrario sembra piuttosto una ex-pazza scatenata, affetta da shopping compulsivo e che viveva in una California sin troppo simile agli stereotipi che tutti abbiamo in mente sul tenore di vita dei ricchi americani. Ad un certo punto, in piena crisi esistenziale, la Johnson intraprende la svolta ecologista e, con un approccio piuttosto invasato e direi tipico per chi passa da un estremo all’altro, si scopre una talentuosa della riduzione sistematica dei rifiuti domestici, tanto da arrivare ad un certo punto a pensare di sostituire la carta igienica con il muschio selvatico…
Ora però il problema è che nonostante il libro della Johnson sia secondo me una fonte comunque scarsamente attendibile, in realtà l’autrice supera di gran lunga qualsiasi mio personale esperimento di riduzione dell’impatto ambientale che ho sul pianeta. E siccome non mi reputo del tutto a digiuno in materia di ecologia, sviluppo sostenibile, risparmio energetico e trattamento dei rifiuti, sono altamente irritato dal fatto che una blogger improvvisata riesca a conseguire dei risultati personali al momento per me impensabili. Ad aggravare il tutto contribuisce inoltre il fatto che la Johnson vive e sperimenta il suo modello di vita in una California campione degli sprechi e dell’individualismo sfrenato, al contrario di un paese (l’Italia) e un territorio (la Toscana) che vantano comunque numerosi modelli di intervento e (probabilmente) una maggiore percezione di una responsabilità collettiva e un maggior intervento pubblico sui temi in questione.
Come può mai essere che io, nella mia vita quotidiana, non riesca minimamente ad avvicinarmi all’obiettivo di una riduzione sistematica dei rifiuti domestici, perlomeno senza ridurmi a vivere come un cavernicolo eremita…? Ho una grande stima per tutti quelli che compiono scelte di vita importanti e radicali, ma sia chiaro che non nutro nessuna invidia per la maggior parte dei casi estremi, né ho alcun desiderio di vivere lontano dalla mia cittadina o dalla mia famiglia. Vorrei semplicemente poter mantenere una normale vita quotidiana e conservare tutte le mie amate relazioni sociali senza però essere costretto ogni giorno a riempire bidoni di spazzatura con imballaggi e oggetti monouso ogni volta che torno dal supermercato.
Fra l’altro, sia chiaro, ho una normale e intensa vita professionale, una moglie e due figlie, una casa e molti amici, e non ho onestamente molto tempo da dedicare per coltivarmi il mio orto personale e vivere di pura e semplice autarchia. Così come non ho onestamente tempo ma soprattutto voglia di allevare dei lombrichi in una compostiera da terrazzo…
E allora che fare? Beh in realtà provo già a fare tante cose, ma mi rendo conto che non sono abbastanza. Abbastanza rispetto a cosa? Ecco al momento non so definirlo con chiarezza. So solo che nonostante intorno a me si parli tanto di emergenze ambientali e climatiche, ho la netta percezione che i rifiuti e gli sprechi energetici e di risorse naturali non facciano che aumentare. Io per primo mi rendo conto che sono ben lontano dall’obiettivo “zero rifiuti”. Quindi per l’ultimo dell’anno ho fatto il mio buon proposito e mi sono dato l’obiettivo concreto di ridurre considerevolmente il mio impatto sull’ambiente nel corso del 2019. Considerevolmente quanto? Ancora non lo so, ma ho intenzione di verificarlo e possibilmente quantificarlo attraverso questo blog.
Non credo onestamente che l’obiettivo “zero rifiuti” possa essere considerato altro che una meta astratta da perseguire idealmente senza mai raggiungerla. L’idea che la vita di una famiglia possa non produrre rifiuti rappresenta un po’ una semplificazione riduttiva della nostra vita sociale e delle dinamiche della catena di produzione dei beni di consumo. Dire che dalla mia casa non escono sacchetti di rifiuti, né indifferenziati né riciclabili (la Johnson sostanzialmente sostiene che da casa sua, in un anno, esce un solo sacchetto di immondizia) è sicuramente affascinante ma nasconde tutti gli altri aspetti non legati ai sacchetti dei rifiuti di casa mia. Intanto consumo acqua, elettricità, gas, calore… Certo ci possiamo impegnare a ridurre gli sprechi, ma di sicuro non sto generando “zero rifiuti”, non solo per via delle emissioni che escono direttamente da casa mia, ma anche per quelle che sono state prodotte per la produzione di energia elettrica, l’estrazione del gas, ecc. Inoltre anche a monte di ciò che acquistiamo vi è produzione di rifiuti: magari mi sono impegnato a riempire una bottiglia di detersivo sfuso portandomela da casa, e quindi non produco direttamente alcun rifiuto in termini di imballaggio (anche se poi i residui del detersivo li scarico comunque dalle tubature…), ma la catena di produzione e distribuzione avrà sicuramente generato scarti e rifiuti prima di arrivare al negozio dove l’ho comprato.
Oh intendiamoci non voglio qui sminuire l’impegno e gli obiettivi di cui sopra, voglio solo dire che mi sento più a mio agio con l’idea di un impatto ridotto, più che di perseguire l’idea di “zero rifiuti” o “impatto zero”. Da qui il nome di questo diario, “Impatto ridotto”, forse un po’ minimalista, ma per me più concreto e perseguibile. Ora si tratta di solo di metterlo in pratica. “Solo” per modo di dire…